A GIOCARE IL GIOCO DELLA VITA
Di Marcello Coppari
Un mio amico carissimo, Fabrizio Pasi, mi ha regalato un libro davvero sorprendente: per tanti motivi.
In primo luogo, il fatto che io non conoscessi Marcello Coppari (Faenza, 1925 – 2000), medico, dentista, ma soprattutto uomo di grandissima cultura e scrittore, e, per l’occasione, poeta.
Le sue sono poesie di grande spessore umano e con una struttura degna dei più nobili e conosciuti scrittori di poesia.
In esse egli racconta la sua vita, i suoi amori, le sue delusioni e le sue vicissitudini con un lessico, con parole che ti prendono, non ti lasciano un attimo, e, al termine dello scritto, ti fanno venire la voglia di rileggerle, più e più volte, per apprezzarne appieno il significato, e, soprattutto, la grande musicalità, la grande abilità di verseggiare e di rendere il testo ricco, pregnante. Poco più di sessanta poesie in cui egli racconta se stesso e il suo rapporto con la vita.
Poi, per un’altra cosa.
Conoscevo la Muky (nota ceramista faentina) come ceramista, come organizzatrice di eventi, ma non come scrittrice.
Nella prefazione al libro di Coppari, scrive:
… i pazienti – bambini aprivano la bocca rimanendo incantati dalle sue narrazioni fantastiche, di guerrieri potenti o fatine agghindate da collane di confetti ricoperte nei lunghi veli pari ad arcobaleni. Curava le malformazioni spesso gratis, per donare un po’ di dolcezza ai genitori più sfortunati. Amava le donne incipriate di femminilità. Amava cavalcare, sfidava il mare, sciava sulle nevi indurite dal ghiaccio, si arrampicava fra rocce e stelle alpine. Era un artista: modellava, dipingeva, scriveva. Da adulto andava a lezione, strimpellava il piano e per i bimbi disabili improvvisava canzoncine prima di indossare il camice. Nei suoi ultimi anni viveva con un cane a pelo ispido vivacizzato da baffi sparuti, stinti come i suoi. Il passo di lui si adeguava all’andatura di Flic, sembravano due amici inseparabili. Quando Marzèl morì quella notte, il fedele meticcio gli si piantò accanto; lo trovarono a sole già alto allungato a mo’ di tiepido scudo sopra il corpo del suo amorevole padrone, già freddo come le vette dell’Himalaya.
Queste sono parole che una persona qualunque non può scrivere.
Queste sono parole che solo una persona carica d’amore può dire.
Il libro di cui sto parlando si intitola “A giocare il gioco della vita”, Angelini Editore, Imola, 2008.
Se riuscite a procurarvelo, non esitate a comprarlo e a leggerlo.
Non ve ne pentirete!
Pier Giacomo Zauli